Descrizione
Eccoci qui, siamo giunti anche all'ultima intervista! Chiudiamo in bellezza con la testimonianza di un architetto, Rocco Zanoni, che ci racconta come è arrivato a svolgere questa professione!
Siete pronti?
Rocco, raccontaci brevemente di te!
«Sono Rocco Zanoni, originario della Val di Non, nato a Trento nel 1983, laureato alla IUAV di Venezia nel 2009, iscritto all'Ordine degli Architetti dal 2010. Nello stesso anno ho fondato il mio omonimo studio dove, parallelamente agli incarichi professionali, svolgo attività di ricerca tramite la partecipazione a concorsi nazionali ed internazionali. Dal 2013 collaboro con il MART, sviluppando e diffondendo la mia esperienza di studio sulla fragilità del limite tra design ed arte. Dal 2017 collaboro con MaDe++ alla formazione di futuri manufacturing designers.
Ho casa e bottega in un unico edificio, ho lo studio di architetto al piano terra e vivo al primo piano.»
Da quanti anni fai questo lavoro?
«Dal 2010, quando ho fondato il mio studio, quindi sono 10 anni.»
Quando hai capito che ti sarebbe piaciuto fare l’architetto?
«Ho sempre avuto la propensione per la costruzione artistica, per i modellini, per la creazione di edifici, di strutture. Sono convinto che l’arte dell’architettura bisogna avercela dentro, come i musicisti hanno la musica. Io sono sempre stato appassionato di architettura, ed è una propensione che mi ha sempre accompagnato durante tutta la mia carriera accademica e lavorativa, e che non mi abbandona tutt'oggi. Ricordo come in molto lavori io abbia passato le notti a progettare, a realizzare i lastrici, a ragionare sui dettagli architettonici che qualunque comune mortale che non sia un progettista non coglierà mai e non saprà apprezzare. Ma gli architetti appassionati del mestiere sono così, non ce la fanno a dormire la notte se non risolvono prima dei dettagli minuziosi in un progetto di costruzione, che sono all'apparenza banali, ma per loro sono determinanti.
Ho imparato col tempo a fare mia quest’arte: prima sono andato a scuola e all'università, e seguivo le regole, studiavo e cercavo di capire; poi con il lavoro arrivi a comprendere quello che stai facendo ed è in quel momento in cui l’arte dell’architettura prende il sopravvento ed entra in te, diventa parte di te, e grazie a questo riesci finalmente ad esprimere te stesso.»
Lavori in solitaria o in un team/studio/gruppo?
«All'inizio quando si comincia a lavorare si comincia a frequentare uno studio e a lavorare quindi con altri architetti/ professionisti perché c’è bisogno di fare esperienza. Quindi anche io ho iniziato a frequentare uno studio per necessità di imparare l’arte dell’architetto. Ho comunque da subito cominciato ad assumermi anche l'incarico di lavori solo miei, all'inizio piccoli poi sempre più importanti. Il lavoro in team resta comunque importante per il confronto reciproco.
Nel mio studio ora sono da solo, a parte per i progetti più importanti per i quali chiamo i miei collaboratori.
Si dice che lavorare in team può richiedere dei tempi di svolgimento del lavoro più lenti perché per coordinarsi ci si impiega di più, ma insieme si arriva poi a fare più strada.»
Qual è stato il tuo percorso di studi?
«La mia passione è sempre stata creare e costruire case, quindi non ci ho pensato due volte e alle superiori mi sono iscritto alla scuola per geometri a Cles. Non ero portatissimo per lo studio, anche se me la sono sempre cavata.
Alla scelta dell’università mi sono trovato davanti ad un bivio: la facoltà di Ingegneria Edile ed Architettura a Trento o la facoltà di Architettura a Venezia. Avevo voglia di andarmene da dove ero nato e cresciuto, quindi ho optato per Venezia. L’architettura è considerata una delle sette arti, e non per niente il salto che ho dovuto fare dalla scuola per geometri a quest’università si è rivelato difficile.
Durante la triennale ho fatto l’ERASMUS in Portogallo e ho avuto così modo di conoscere la cultura dell’architettura portoghese. Tornato dall'Erasmus mi sono iscritto alla specialistica: potevo scegliere tra architettura per il restauro, per le città, per il paesaggio e per la sostenibilità e ho scelto quest’ultimo corso: Architettura per la sostenibilità. Per laurearmi ci ho impiegato tre anni invece che due perché la mia tesi è stata molto laboriosa e mi ha preso via molto tempo, ma è anche un lavoro di cui vado molto fiero: il mio elaborato finale parlava infatti delle metodologie per portare ad impatto zero le olimpiadi in Trentino.»
Tra la fine degli studi e l’inizio della tua carriera cos'è successo?
«Passato il primo periodo di euforia dopo essermi laureato, mi sono messo a capire cosa poter fare. Le mie prime due mosse sono state: fare domanda per il programma Leonardo da Vinci (che ho scoperto poi tardi di avere vinto, quando già mi trovavo in Brasile) e partecipare all'esame di stato per entrare nell'Ordine degli Architetti. Successivamente sono partito, appunto, per il Brasile per andare a trovare tutti i miei amici brasiliani che avevo conosciuto durante il mio Erasmus in Portogallo. Ad un certo punto della mia vacanza la mia passione per l’architettura si è fatta sentire e ho deciso di cominciare a lavorare in uno studio di architettura proprio lì in Brasile. Questa fase è stata per me importante, una sorta di un passaggio tra la laurea e l’esame di stato (ai miei tempi per iscriversi all'esame non era richiesto nessun tirocinio).
L’esame scritto dell’esame di stato che avevo svolto prima di partire in Brasile era stato molto complicato; non a caso è un esame che passano in pochissimi, perché si basa su una prova tecnica di progettazione di un edificio da fare a mano, in 8 ore, tutto con le stecche e la squadra. Avevo progettato un asilo, che è piaciuto e sono riuscito a passare l’esame. Dal Brasile ho quindi ricevuto questa bella notizia e, dato che non potevo farmi scappare questa preziosa occasione, sono tornato in Italia per fare l’esame orale.
Mi sono infine ritrovato architetto. Il passo successivo è stato iscrivermi all'Ordine, perché ho sempre considerato questa istituzione di un grande valore, e mi sono ritrovato a far parte di un gruppo di colleghi, e di amici. Sono diventato l’anno scorso il tesoriere dell’Ordine. Essendo liberi professionisti non tutelati dai sindacati, è un bene disporre almeno dell’Ordine. Un fatto positivo è che ci si da sempre del tu tra architetti dell’Ordine, perché siamo tutti alla pari, anche gli architetti più anziani.»
Qual è l’aspetto più noioso del tuo lavoro?
«Quello dell’architetto è uno dei lavori più ambiti perché è molto vario, molto creativo. Noi architetti abbiamo l’opportunità di espandere il nostro lavoro in tanti ambiti. Aspetti noiosi del nostro lavoro sono la burocrazia, il continuo cambio di leggi e di normative e la poca chiarezza di alcune regole a cui ci si deve un po’ adattare.»
Qual è l’aspetto più interessante del tuo lavoro?
«L’aspetto interessante del mio lavoro è che si può fare di tutto, e anche il contesto lavorativo è molto interessante, specie quando si ha la fortuna di seguire dei bei cantieri e si deve fare un rilievo in una bellissima giornata di sole, invece che stare in ufficio. Si parla con persone diverse, si viene ospitati in conferenze, viene richiesta una continua creatività. Tutto sta nell'essere dinamici e nel cercare il campo che piace; ad esempio io mi ero stancato di stare in ufficio da solo e mi sono buttato a fare il professore di design, e ad oggi ora è 3 anni che faccio il prof di design. Sono stato anche chiamato al MART a tenere dei corsi di arte: il Mart è un simbolo e quando mi hanno chiamato per chiedermi di presentare lì un workshop sono stato molto contento, è stata una bella soddisfazione.
È questo che intendo quando dico che il mio lavoro mi permette di cambiare “lavori”.»
Quali sono le caratteristiche personali che si dovrebbe avere o sviluppare per svolgere questa professione?
«Bisogna essere disposto a credere nelle proprie idee e a portarle avanti con determinazione: nessuno infatti crederà mai in te quanto tu stesso. Bisogna inoltre avere determinazione e carattere perché quella di architettura è è una facoltà difficile.
Bisogna riuscire a capire qual è il bisogno delle persone che ci si ritrova davanti: prima di concentrarsi sul disegno della casa, sulla sua struttura, è bene saper interpretare i bisogni dei clienti.»
Quali sono i consigli d’oro che daresti a chi vuole fare il tuo lavoro?
«A chi vuole fare l’architetto dico che innanzitutto deve sentirselo dentro, deve avere la voglia di farlo perché non è un lavoro come un altro; o lo si vuole fare o si finisce a fare altro che ci assomiglia solo all'architettura. Bisogna avere la passione di fare le corse, di creare.
Bisogna avere molta tenacia perché questo non è tanto un lavoro di studio ma di pazienza.
Non si deve avere nessun tipo di staticità mentale, perché ogni progetto deve evolvere. Bisogna essere disposti ad investire il proprio tempo e energie nel miglioramento.
Bisogna infine possedere il giusto entusiasmo di voler fare questo lavoro, bisogna sentirsi dentro la spensieratezza: non deve pesare stare la notte a progettare perché altrimenti non si va molto lontano.»
Si conclude così anche l'ultima intervista fatta ai #giovaniprofessionisti! Ti ricordiamo che puoi recuperare tutte le dirette sul nostro profilo Instagram @sportellogiovanitrentino alla sezione IGTV! Nel frattempo ti salutiamo, caro lettore, sperando di averti intrattenuto con questi articoli riassuntivi, e alla prossima rassegna di testimonianze!